sabato 28 marzo 2015

BORIS PAHOR E LA GIORNATA DEL RICORDO DEGLI ESULI ISTRIANI,FIUMANI E DALMATI:PERSA UNA BUONA OCCASIONE PER STARE ZITTO.


Boris Pahor,scrittore appartenente alla minoranza slovena del Friuli Venezia Giulia,in un articolo sul Messaggero Veneto di giovedì 26 marzo 2015, propedeutico ad un incontro culturale organizzato ieri sera dal Circolo Navarca di Aiello del Friuli, ha avuto da ridire nei confronti della gestione da parte degli esuli giuliano-dalmati della Giornata del Ricordo che si svolge,ogni anno dal 2004,il giorno 10 di febbraio. Non vogliamo certo mancare di riguardo nei confronti dell'anziano letterato,ma egli non può insolentire centinaia di migliaia di esuli dalle terre adriatiche in seguito all'invasione delle truppe comuniste di Tito né, tanto meno, negare i numeri di quella mattanza - circa 10.000 persone- che persero la vita nelle foibe triestine ed istriane, nelle voragini slovene o nel mare di Dalmazia. Come può negare ciò che tutti hanno ormai riconosciuto, compresi storici di area non certamente italiana o interessata? Mai,gli esuli,hanno messo in dubbio l'esistenza dei campi di Gonars, Visco o Arbe ( Rab); mai hanno negato la sorte di tanti disperati reclusi in tali luoghi infami; mai hanno negato le colpe degli aguzzini! Mai,però,hanno sentito una parola per le centinaia di morti nei campi di Borovnica in Slovenia ( qualcuno ha addirittura negato la sua esistenza!) o della ex Jugoslavia!Di cosa dovrebbero parlare gli esuli in quella giornata a loro dedicata,di ciò che non loro ma l'Italia- o alcuni suoi cittadini- hanno compiuto? Di cosa dovrebbero fare ammenda gli esuli adriatici, di cui una buona parte porta nelle vene sangue italico e slavo? Capiamo benissimo che il nazionalista sloveno Boris Pahor non ami l'Italia-di cui ci sembra essere cittadino- ma non possiamo permettere che venga infangata la memoria di migliaia di morti - fra cui ci saranno sicuramente anche persone non tanto per bene,seppure un'esigua minoranza- e dei loro discendenti sparsi per il mondo.L'essersi,poi,confrontato con persone note per la loro partigianeria, ci fa dubitare di un uomo che ha sì sofferto nei campi di concentramento, ma a cui -secondo noi- la vita non ha insegnato nulla. I morti,caro professore,sono tali a qualsiasi parte appartengano ,e in quanto tali,vanno rispettati!

Con la massima disistima.

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